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Carta e cartiere ecosostenibili? La risposta è green

Carta e cartiere ecosostenibili? La risposta è green

Carta e cartiere ecosostenibili? La risposta è green

In un mondo in cui la domanda e l’utilizzo di risorse naturali sono in costante aumento, l’attenzione alla sostenibilità è diventata imprescindibile ed è cresciuta la consapevolezza che non c’è azione della nostra vita quotidiana che non impatti sull’ambiente.

Nel nostro ambito professionale, tipografico e cartotecnico, la quotidianità è segnata dalla carta, la nostra principale materia prima.

In questo articolo, però, non vogliamo indugiare su quello che ormai tutti sappiamo in materia di benessere del pianeta ma verificare se davvero la carta è il materiale meno impattante per l’ambiente e scoprire come l’industria cartaria si sta adeguando ai nuovi criteri di sostenibilità.

Non a caso vogliamo farlo ad un mese e un giorno dall’equinozio di primavera, ovvero la data in cui si è scelto di celebrare ogni anno l’Earth Day, la Giornata Mondiale della Terra.

Tra scetticismo e allarmismo: quanto inquina veramente la carta?

Da quasi 2.000 anni la carta è tra le materie prime più utilizzate, ma da quando si è posta l’attenzione sulla tutela dell’ambiente si è diffusa l’idea che anche la carta possa alterare il delicato equilibro del nostro ecosistema.

Ciò ha dato vita ad una serie di osservazioni sul tema che passano dallo scetticismo sulla riciclabilità della carta, manifestato spesso con espressioni del tipo “È inutile fare la raccolta differenziata, tanto poi buttano tutto insieme in discarica”, all’allarmismo di chi dichiara che per produrre la carta si distruggono le foreste.

Partiamo da quest’ultima catastrofistica osservazione e guardiamo alla realtà dei fatti, anche con qualche dato numerico alla mano.

L’utilizzo di legname nel mondo è solo per il 12% destinato alla produzione della carta. La deforestazione, infatti, è causata principalmente della conversione delle foreste in terreni agricoli o dalla raccolta del legno destinato ad usi diversi dalla produzione cartaria.

La maggior parte del legno destinato alle cartiere deriva invece dallo sfoltimento degli alberi, operazione necessaria affinché le foreste si rigenerino, e dagli scarti industriali di attività produttive come le segherie.

Inoltre, negli ultimi anni, le cartiere si avvalgono di rigorosi sistemi di certificazione forestale, come FSC® e PEFC, che non solo attestano la provenienza della cellulosa da foreste gestite secondo rigorosi standard ambientali, sociali ed economici ma controllano anche che l’intera catena di custodia si componga di soggetti certificati.

Ma cosa vuol dire “foreste gestite in modo sostenibile”?

Lo spieghiamo con un esempio concreto: nel 2019, nelle foreste certificate europee, per ogni albero tagliato ne sono stati piantati altri tre. Ciò ha determinato un aumento dell’estensione delle foreste pari all’area di 1,5 milioni di campi da calcio. L’Italia, nel suo piccolo, le ha estese per un’area pari a 6.540 Kmq. o, se preferite il paragone calcistico, per più di 4.000 campi regolamentari. Ma la sostenibilità di cui si parla in questo caso non riguarda solo gli alberi ma è anche sociale, perché i protocolli di controllo salvaguardano anche il benessere dei lavoratori e delle comunità che vivono in quei territori.

La carta, vincente per l’economia

Qualcuno a questo punto potrebbe obiettare che se da un lato la carta ha un’origine green resta il fatto che per trasformare la cellulosa in materiale cartaceo vero e proprio occorre un processo di lavorazione che impatta sull’ambiente in modo significativo.

Ebbene, è vero.

Basti pensare che per produrre una tonnellata di carta di fibra vergine una singola cartiera di medie dimensioni consuma circa 440.000 litri d’acqua e 7.600 kWh di energia elettrica. Per farla più facile, possiamo dire che per produrre un solo foglio di carta formato A4 servono ben 10 litri d’acqua.

Però la carta serve, il mercato la richiede e i numeri lo dimostrano. Ne sono una prova gli oltre 180 chili di carta come dato di consumo annuo per abitante stimato dall’Istat nel 2022.

In quell’anno in Italia sono stati prodotti 8,7 milioni di tonnellate di carta. Di queste, il 20,3% è passato attraverso case, scuole e uffici sottoforma di libri, riviste e cancelleria, il 45% si è trasformato in cartone ondulato, il 23,2% è servito per confezionare i nostri acquisti e il 7,5% lo abbiamo consumato in fazzoletti, carta igienica e tovaglioli.

Vale anche la pena ricordare che i libri cartacei, durante la loro lunga vita, non necessitano di altra energia per il loro utilizzo, diversamente dalle pubblicazioni digitali che, per essere consultate, hanno bisogno di dispositivi da ricaricare e di cloud da alimentare.

Potremmo dunque farne a meno? Certo che no.

Aggiungiamo anche che l’Italia è il secondo Paese europeo per produzione di carta dopo la Germania, con un fatturato medio annuo di oltre 15 miliardi di euro. Quello cartario è un comparto industriale che impiega quasi 20.000 addetti coinvolgendo, solo nella produzione, più di 150 stabilimenti. Ciò fa dell’industria cartaria una delle colonne portanti della produzione manifatturiera italiana.

La sfida green arriva nelle cartiere

Se è vero che l’impatto ambientale della produzione cartaria è alto, è altrettanto vero che gli sforzi delle cartiere sono concentrati sulla riduzione di questo fenomeno. Lo dimostra il sempre maggiore ricorso all’uso di fonti rinnovabili per alimentare gli impianti di produzione. Parlando di industrie “energivore” come quelle cartarie, si può ben comprendere il valore e il risultato di simili scelte.

Inoltre, le aziende cartarie sono chiamate ad affrontare un’altra sfida: il trattamento e lo smaltimento di grandi volumi di acque reflue.

La soluzione messa in atto è l’efficientamento degli impianti. Questo ha consentito di migliorare il monitoraggio dei reflui chimici, reimmettere le acque nel ciclo produttivo, filtrare i composti organici ed estrarre biogas o biometano che può essere riutilizzato all’interno dello stabilimento generando un’ulteriore riduzione dell’impatto energetico della cartiera sull’ambiente.

Inoltre, è bene evidenziare che oggi il 90% dell’acqua che si impiega nel processo produttivo è acqua di riciclo, mentre solo il restante 10% è costituito da acqua di primo impiego.

Dice il saggio: “La spazzatura di qualcuno è il tesoro di qualcun altro”

In Europa, le fibre cellulosiche vengono riciclate e riutilizzate in media 3,8 volte, e più di metà della carta destinata al consumo nasce dal riciclo della stessa.

Va detto anche che la produzione di carta riciclata, rispetto alla produzione di carta da fibra vergine, richiede alle cartiere circa il 60% in meno di energia elettrica, l’80% in meno di acqua e l’ambiente giova anche di una riduzione del 95% di emissioni di polveri e sostanze chimiche. Ecco perché è importante riporre i rifiuti di carta nell’apposito contenitore della differenziata, a dispetto di quanti erroneamente pensano che “tanto poi si butta tutto insieme in discarica” e soprattutto ad esclusivo vantaggio dell’ambiente.

Se la carta vince, nessuno perde.

Negli ultimi anni si è assistito ad un incremento del tasso di riciclo della carta che si attesta intorno al 74%. Per la carta e il cartone derivanti da imballaggi e confezionamento si raggiunge addirittura l’83%, percentuale che li decreta come i materiali da imballaggio più riciclati (e riciclabili) al mondo.

Si dice che rispettare l’ambiente e gestire in modo responsabile le risorse naturali del nostro pianeta sia un nostro dovere, un compito da assolvere a beneficio delle future generazioni.

Senza dubbio è corretto, ma bisogna andare oltre.

Bisogna riconoscere che, più che un dovere, vivere in un ecosistema sano ed equilibrato è un nostro insindacabile diritto, ma soprattutto che non si tratta solo di un investimento per il futuro ma di una necessità attuale, immediata, presente.

Siamo su questo pianeta e giochiamo tutti la stessa partita, ma solo con le nostre scelte di responsabilità condivise possiamo fare un gioco di squadra in cui vincono tutti.

 

Approfondimenti

La carta fa male all’ambiente?

La carta prodotto sostenibile

L’industria del carta e il gas naturale

Scegliere la certificazione FSC. Un valore aggiunto

Verità e leggende metropolitane. Vero/Falso

Verità e leggende metropolitane nel mondo della stampa

Verità e leggende metropolitane nel mondo della stampa

Nel nostro lavoro, come in molti altri, non è raro trovarsi a dover valutare opinioni contrastanti sullo stesso argomento.
Per questo abbiamo deciso di mettere a fuoco le verità e le tante leggende metropolitane che girano intorno al mondo della stampa.
Lo faremo con il sistema del vero/falso rispetto ad affermazioni vecchie e nuove che il passaparola negli anni ha restituito come verità assolute.

La risoluzione delle immagini per la stampa offset deve essere 300 dpi

Vero. Cominciamo col dire che oggi, con i processi di pre-stampa interamente digitali, è più corretto per le immagini riferirsi ai PPI (Pixel per pollice) che non ai DPI (punti per pollice).
Il numero 300 va però inteso come valore di massima e non assoluto e si riferisce alla dimensione finale della stampa e alla frequenza del retino utilizzata.

Il valore della risoluzione è infatti correlato alla retinatura o lineatura utilizzata per stampare le immagini. Il rapporto tra la risoluzione dell’immagine e la frequenza del retino determina la qualità dei particolari nell’immagine stampata.

Per produrre un’immagine mezzatinta, solitamente si imposta una risoluzione dell’immagine pari alla frequenza di retino moltiplicata per 1,5 o 2. La retinatura o frequenza di retino viene misurata in linee per pollice (lpi). Maggiore è la risoluzione del dispositivo di output, maggiore è la frequenza di retino che si può utilizzare cioè la quantità di linee per pollice che si possono utilizzare. Di seguito alcuni esempi di retinatura:

  • 65 lpi: retinatura grossolana, per la stampa commerciale di bassa qualità;
  • 85 lpi: retinatura media, per esempio per la stampa dei quotidiani;
  • 133 lpi: retinatura di buona qualità, per esempio per la stampa di riviste e periodici;
  • 177/200 lpi: retinatura di alta qualità, per esempio per la stampa di cataloghi e libri d’arte.

Ne consegue che, un’immagine di 3000×4000 pixel (base x altezza) a 300 ppi potrà essere stampata in alta qualità a 177 lpi nella dimensione fisica massima di 25×33 cm.

La stampa digitale sostituirà completamente la stampa offset

Falso. Forse è il luogo comune più diffuso perché ha alla base non solo il riferimento alla tecnica di stampa ma all’intero processo produttivo.

È innegabile che sulle macchine digitali il processo di pre-stampa è più immediato. Basti pensare che, per il riscontro visivo del risultato finale, la prova di stampa può essere già la prima copia. Inoltre i vantaggi in termini di costi, per le basse tirature, sono evidenti e aumentano l’appeal della stampa digitale ma il formato di stampa spesso vincola le cadute macchina e la scelta del tipo di finitura.

Va detto, però, che in termini di costi e di sostenibilità ambientale la stampa offset ha fatto notevoli passi avanti. Le macchine di ultima generazione hanno ridotto al minimo lo spreco di fogli per l’avviamento e, grazie al cambio lastre automatico, bastano ormai pochissimi minuti per il cambio lavoro. Le lastre senza sviluppo e gli inchiostri a base vegetale, poi,  rendono il processo di stampa sempre più sostenibile in termini ambientali.

Noi siamo convinti che la coesistenza dei due sistemi è una grande opportunità nel settore grafico, lasciamo allo stampatore e alla sua esperienza la possibilità di scegliere in relazione al lavoro il meglio per la sua azienda e per i suoi clienti.

Il risultato della stampa dipende solo dalla macchina

Falso. Nella stampa sono tre gli elementi fondamentali e imprescindibili: la macchina, il supporto e l’operatore.

La macchina da stampa deve sempre essere nella condizione di raggiungere l’obiettivo prefissato impiegando il minimo delle risorse necessarie.

Il supporto che viene classicamente ricondotto a:

  • carte patinate (lucide e opache) che assorbono meno inchiostro mantenendo i colori più brillanti e le immagini più nitide;
  • carte naturali molto porose per le quali si consiglia l’utilizzo di inchiostri ossidativi per velocizzare l’essiccazione e ridurre la penetrazione;
  • materiali plastici per i quali è consigliato l’utilizzo di inchiostri UV.

L’operatore è ancora a nostro avviso il deus ex machina della stampa. È vero che sempre più funzioni, che prima erano a totale appannaggio dell’operatore, ora sono state demandate alle macchine attraverso forme di automatismi sempre più spinti. È vero che per supportare l’occhio oggi esistono sofisticati strumenti di misura a bordo macchina per il controllo del colore e delle densità. Ma nulla ancora può sostituire del tutto il fattore umano. Non è possibile fare a meno dell’esperienza, della professionalità e della capacità di problem solving di un operatore specializzato.

Conclusioni

Speriamo, con questa piccola rassegna sulle verità e sulle leggende metropolitane nel mondo della stampa, di avervi aiutato a fare chiarezza. Per ulteriori approfondimenti vi suggeriamo i seguenti link:

Italia Grafica – La risoluzione ottimale per i contesti d’uso

Italia Grafica – Come cambiano le macchine offset

La cartotecnica e il packaging in pillole

La cartotecnica e il packaging in pillole

La cartotecnica e il packaging in pillole

Come natura crea, l’uomo conserva

Dai gusci, alle bucce, alle scatole. Come natura crea, l’uomo conserva. Una storia a puntate, in pillole, per raccontarvi la cartotecnica e il packaging moderno secondo noi.
Uno dei primi insegnamenti che l’uomo ha tratto dalla natura è stato quello di proteggere i propri beni racchiudendoli in un involucro. Probabilmente ha imitato gli uccelli, che affidano la protezione della loro progenie al guscio delle uova. Anche il regno dei vegetali aveva tanto da insegnargli, bastava osservare i semi contenuti nella polpa dei frutti, a loro volta riparati da una buccia più o meno coriacea.
Così, secolo dopo secolo, ha sperimentato materiali e strumenti utili per conservare tutto ciò che di prezioso aveva, per preservarlo dal deterioramento e per trasportarlo agevolmente.
Dalle anfore di terracotta ai recipienti di vetro, dalle lattine di metallo ai contenitori di plastica, gli imballaggi si sono evoluti di pari passo con la scoperta di nuovi materiali e con lo sviluppo degli scambi commerciali.
Non a caso, è proprio a partire dalla cosiddetta Rivoluzione Industriale che vogliamo iniziare questa storia. Con il progresso industriale e i volumi commerciali costantemente in aumento, agli imprenditori fu subito chiaro che i materiali usati fino ad allora per il trasporto (vetro e legno) erano spesso voluminosi e soprattutto costosi. Era fondamentale trovare materiali più economici e leggeri per ridurre il costo dell’imballaggio e ottimizzare la logistica.

 

La rivoluzione della specie

Ecco perché la vera rivoluzione in tal senso coincide con le prime produzioni di carta prodotta da cellulosa di legno operate in Germania a partire dal 1840. Il sistema di produzione della carta in Europa fin a quel momento, era basato sulla macerazione degli stracci, ma la difficoltà nel reperire la materia prima e la crescita costante della domanda, indussero i produttori a sperimentare delle alternative attingendo ancora una volta, come alle origini, dal mondo dei vegetali. Molte furono le specie oggetto dei tentativi, ma luppolo, ortica, mais e felci non riuscirono a produrre risultati apprezzabili, né in termini di qualità né di riduzione dei costi.

Dal legno alla carta
La cartotecnica e il packaging in pillole
Friedrich Gottlob Keller

Successe però che nel 1844, in una cittadina della Sassonia, Friedrich Gottlob Keller, di professione tessitore, depositò un brevetto per una pasta ottenuta dalla polpa del legno. La strada era quella giusta: il legno era di facile reperibilità e il procedimento per trasformarlo in carta aveva costi contenuti. Così la carta si trasformò da prodotto di lusso a prodotto di largo consumo.

Nel 1856, in Inghilterra venne depositato il brevetto per una innovativa carta ondulata utilizzata prevalentemente come struttura portante per i cappelli a cilindro. Appena quindici anni dopo, a New York, Albert Jones brevettò una carta ondulata ancora più rigida e resistente agli urti che venne usata per la prima volta come imballo protettivo per le bottiglie e i paralumi di vetro delle lanterne a cherosene.
Nel 1874, Oliver Long mise punto quello che oggi chiamiamo “cartone ondulato” incollando la carta ondulata in mezzo a due copertine di carta tesa.

Quasi contestualmente, intorno al 1880, iniziò la sperimentazione di un nuovo procedimento chimico (procedimento al solfato) per ricavare dal legno la polpa di cellulosa e produrre la carta Kraft, molto tenace e robusta, ancora oggi è considerata la migliore materia prima per imballaggi durevoli e resistenti.

 

Cartotecnica, si nasce!

A questo punto del nostro racconto è bene fare una doverosa precisazione: tutto il packaging in carta, cartoncino e cartone è frutto dell’impresa cartotecnica, ma non tutta la cartotecnica riguarda il packaging. Infatti, per cartotecnica si intende genericamente la trasformazione industriale della carta e del cartone per la produzione non solo di imballaggi ma anche di oggettistica varia. Scoprire come è nata la vera industria cartotecnica, quindi, resta l’ultimo passo da compiere in questo viaggio.
Anche la nascita della cartotecnica è una rivoluzione fatta di piccoli passi, ma non per questo meno imperiosa. E come quasi tutte le grandi invenzioni, anche questa è nata per caso.

Lo stabilimento Gair di Washington

Nel 1879, Robert Gair, un tipografo di origini scozzesi ma trapiantato a Brooklyn sin da giovanissimo, si trovava nell’opificio in cui produceva sacchetti di carta quando un righello di metallo usato per piegare la carta si rigirò accidentalmente su un lato tagliando di netto i sacchetti. In quel momento Gair capì che poteva piegare e tagliare la carta in un unico passaggio semplicemente sistemando dei “righelli” di taglio o di piatto secondo il suo progetto. A sviluppare la sua idea fu la E. S. & A. Robinson di Bristol, un’importante industria che si occupava di cancelleria e imballaggi con la quale avrebbe poi collaborato per anni.

Ma a passare alla storia come creatore delle scatole fustellate moderna fu solo lui e i suoi stabilimenti disseminati da Brooklyn a Washington, che produssero scatole di carta e cartone per importanti aziende come Kellogg’s, Colgate, Nabisco e Arbuckle.

Dall’imballaggio al packaging

Il termine packaging deriva dal verbo inglese to package, che letteralmente vuol dire “impaccare”. C’è un momento ben preciso in cui l’imballaggio inteso come “involucro che protegge un bene” diventa una delle principali leve del marketing moderno.
La fortunata circostanza si presenta agli inizi del ‘900 e coincide con la nascita di nuove tecniche di stampa come la flexografia e la serigrafia che hanno reso possibile la personalizzazione degli imballaggi stampando direttamente sulle confezioni il marchio commerciale dei prodotti in essi contenuti.
La personalizzazione grafica diventa negli anni seguenti sempre più determinante per rendere riconoscibile un marchio rispetto ai concorrenti e per “richiamare” i consumatori già dalla vista del prodotto sullo scaffale. La veste grafica del packaging diventò talmente rilevante per gli esperti del marketing da essere affidata sempre più spesso a celebri illustratori. Un esempio per tutti? Basti pensare al logo Chupa Chups creato da Salvador Dalì.
È per questo che oggi un progettista di packaging non può più pensare a una scatola o a un astuccio solo in un’ottica di protezione e trasporto, ma anche come importante mezzo di comunicazione. Insomma, qualcosa che coniughi funzionalità e appeal. A proposito, chi è il progettista?

Professione: packaging designer

Il progettista, o più nello specifico il packaging designer, è una figura chiave in ogni azienda che si occupa di imballaggi, soprattutto imballaggi primari, ovvero quelli in cui è direttamente contenuto il prodotto destinato alla vendita. Il suo lavoro non risponde solo a logiche creative ma, prima di tutto, deve tenere conto di alcuni fattori fondamentali per la commercializzazione del prodotto. Perché il suo progetto funzioni, il pack deve essere:

  • efficace, cioè deve assolvere alla sua funzione di protezione ma anche conferire un certo appeal al prodotto;
  • comodo, nella presa e nell’uso;
  • economico, per non incidere troppo sul prezzo finale del prodotto;
  • ecologico, per limitare il suo impatto ambientale.

 

Prima, la materia

La cartotecnica e il packaging in pillole

La scelta del supporto con cui realizzare i prodotti è una delle fasi più delicate della progettazione in cartotecnica. Cosa scegliere tra cartoncino e cartone ondulato? E tra questi, quale grammatura di cartoncino o quali e quante onde deve avere il cartone ondulato? Quanto pesa il prodotto che il pack deve contenere? Il prodotto deve essere spedito con il solo imballo primario oppure questo sarà a sua volta contenuto in una scatola da spedizioni? Sarà fragile? Il prodotto contenuto nel pack è alimentare? E se lo è, si tratta di cibo secco o umido?
Una breve panoramica sui supporti usati in cartotecnica aiuterà a comprendere quanto sia complesso ma essenziale prendere la giusta decisione.
La prima cosa da valutare quando ci si appresta a scegliere il supporto giusto è la sua tenuta, la sua resistenza.
Nel nostro caso, le opzioni possibili sono sostanzialmente due: il cartoncino teso o il cartone ondulato lito-accoppiato. Entrambi, rispondono all’esigenza di fare “bella figura” sullo scaffale, poiché in entrambi i casi è possibile personalizzarli. E non solo con la stampa, ma anche con una serie di nobilitazioni che hanno il compito di impreziosire il pack:

Il cartoncino

Se il prodotto da contenere non è particolarmente pesante e soprattutto sarà trasportato all’interno di una confezione multipack da spedizione, il cartoncino può rivelarsi il supporto ideale.
Il cartoncino più adatto a diventare packaging deve avere un peso per metro quadrato, detto grammatura, generalmente non inferiore ai gr. 220. Il cartoncino può essere liscio o ruvido, bianco o colorato purché le sue caratteristiche meccaniche consentano di formarlo in un contenitore. In altre parole, l’importante è che si lasci cordonare, fustellare, piegare e incollare secondo il progetto del packaging designer.

Alimentare, Watson

Se il prodotto da contenere è un prodotto alimentare, allora bisogna essere più attenti alle specifiche tecniche del cartoncino. Non si tratta di dettagli, ma di una rigida normativa comunitaria da seguire per tutelare la salute pubblica.
Esistono infatti dei cartoncini specifici per il contatto con gli alimenti, sia composti interamente da cellulosa “vergine” che prodotti con una percentuale di pasta da macero riciclata e opportunamente trattata. Secondo le normative vigenti in materia, infatti, questi supporti devono essere corredati di specifiche certificazioni di valore internazionale che ne attestano l’idoneità al contatto diretto con gli alimenti (Certificazione M.O.C.A.).
Per contenere alimenti grassi o umidi, si deve avere poi un’accortezza in più. Bisogna utilizzare gli stessi cartoncini di cui sopra ma barrierati, ovvero dotati di un lato trattato con una barriera di materiale organico, quindi plastic-free, che renda l’interno della scatola impermeabile agli eventuali liquidi e ai grassi rilasciati dal prodotto alimentare con cui è a contatto. In più, questa barriera isola i prodotti all’interno anche da eventuali migrazioni degli inchiostri utilizzati nella stampa della personalizzazione esterna.
Sono cartoncini super ecologici poiché non solo sono totalmente biodegradabili ma anche interamente compostabili. Se a questo aggiungiamo che questi cartoncini sono certificati FSC®, ovvero provengono da foreste gestite responsabilmente, ecco che anche la vocazione green di chiunque li utilizzi può considerarsi pienamente soddisfatta.

Alto spessore, alte performance

I cartoncini realizzati con cellulosa vergine si ottengono sovrapponendo uno strato centrale di pasta legno o pasta semichimica a uno o più strati di pasta chimica sbianchita. Questi sono detti anche “cartoncini ad alto spessore” e hanno una marcia in più proprio perché, grazie a uno spessore maggiore rispetto ai cartoncini riciclati di pari grammatura, offrono caratteristiche meccaniche migliori in termini di resistenza e, nel complesso, risultano più performanti in ogni fase della lavorazione. Per questa ragione il loro uso non si limita alle scatole per alimenti, ma questi cartoncini sono adottati anche in campo cosmetico, farmaceutico e, più in generale, per pack di pregio.

Onda su onda

Quando si progetta un pack che deve contenere prodotti più pesanti o fragili o che devono essere trasportati su pallet senza la protezione di un master cartoon, è preferibile usare una struttura di cartone ondulato.
Il cartone ondulato è composto da una o più onde racchiuse e/o separate da fogli di carta stesa. La loro composizione, ovvero i tipi di carta che compongono le onde o le copertine, può essere scelta in base alle caratteristiche meccaniche delle carte stesse, più o meno tenaci, dal Kraft al Test, e ognuna di queste può essere di grammatura variabile in base alle esigenze di tenuta e resistenza.
Per ottenere comunque un pack accattivante, bello da vedere e più pregiato rispetto alle scatole da imballaggio tradizionali, il cartone ondulato viene accoppiato a un cartoncino, detto “liner”, appartenente alla famiglia dei cartoncini riciclati. Questo è composto da uno strato bianco patinato, adatto alla stampa in offset o digitale, e un altro (retro) di pasta riciclata di colore grigio o avana che, essendo più ruvido e poroso, risulta particolarmente indicato per essere accoppiato dopo la stampa al cartone ondulato mediante uno strato di colla applicato meccanicamente.

 

Prossima fermata

Il prossimo viaggio tra i sentieri della cartotecnica riguarderà il ciclo di produzione. Assisteremo insieme alla nascita di un pack fin dalla sua progettazione, attraverso le varie fasi che trasformeranno il progetto in prodotto. Seguiremo la frenetica attività di un team di lavoro ben organizzato che a ogni passaggio donerà un elemento in più a ciò che nasce come foglio di cartoncino o di cartone e si evolve in una delle principali leve del marketing moderno.

 

Approfondimenti

La carta Kraft

Il Packaging Design: quando il contenitore fa il contenuto

Materiali a contatto con gli alimenti

Il libro questo sconosciuto

Il libro questo sconosciuto

Il libro questo sconosciuto

Il libro, questo sconosciuto può sembrare un titolo provocatorio, tutti sanno cos’è un libro! Eppure molti ignorano come si realizza.
Per noi tipografi il libro è la maggiore espressione della nostra professionalità, della nostra arte.

Il libro questo sconosciuto… la storia

La prima opera significativa stampata in Italia fu l’edizione in lingua italiana della Divina Commedia nell’aprile del 1472. E questo ovviamente grazie all’invenzione della stampa a caratteri mobili attribuita a Gutenberg nella prima metà del 1400.

Cosa erano i caratteri mobili

I caratteri mobili si ottenevano fondendo una lega di piombo, stagno e antimonio in apposite matrici create da punzoni di ferro o acciaio nei quali veniva inciso al rovescio il carattere dalle mani sapienti di maestri incisori. Per ogni carattere/simbolo (in ciascuno stile e dimensione) erano necessari un punzone (fig. 1) e una matrice (fig. 2). Una volta fusi, i caratteri venivano riposti nella cassa tipografica (fig. 3).

Caratteri mobili
Fig. 1 – Punzone
Caratteri mobili
Fig. 2 – Matrice
Caratteri mobili
Fig. 3 – Cassa tipografica
E come si usavano

Il compositore disponeva i caratteri rovesciati sul compositoio (fig. 4) da sinistra verso destra formando le parole e spaziandole fra loro su una riga di larghezza prestabilita. Le righe così create venivano poi allineate su di un piano di legno o di metallo detto vantaggio (fig. 5) sul quale si formava via via la pagina. Il passo successivo era riempire la forma tipografica (fig. 6) con un numero di pagine variabile in base alla struttura del fascicolo.

Caratteri mobili
Fig. 5 – Compositoio
Caratteri mobili
Fig. 5 – Vantaggio
Caratteri mobili
Fig. 6 – Forma tipografica

Creata la forma di stampa, il tipografo la posizionava sul carrello mobile [A] del torchio (fig. 7) e la spalmava di inchiostro. La carta si fissava invece sul timpano [B] che grazie a un sistema di cerniere si ripiegava sulla forma debitamente coperta dalla fraschetta [C].
A questo punto sia la forma di stampa che la carta venivano posizionate sotto la platina [D], il pianale metallico attraverso la torsione della vite abbassandosi avrebbe esercitato sul timpano la pressione necessaria per permettere il trasferimento dell’impronta dei caratteri sul foglio bianco.

Caratteri mobili
Fig. 7 – Rappresentazione di un torchio tipografico

Sia la tecnica di produzione delle forme di stampa che quella della stampa rimasero invariate fino alla metà del 1800 quando iniziò un graduale processo di meccanizzazione con l’avvento delle Linotype (macchine compositrici) [A] e delle macchine da stampa piane [B] o piano-cilindriche [C] (fig. 8).

Macchine tipografiche
Fig. 8 – Macchine tipografiche

 

La stampa oggi

La stampa offset è una conquista del 1900 e prende piede solo dopo la seconda guerra mondiale con la sempre maggiore diffusione della stampa a colori. Caratteristica del processo offset è che si tratta di un metodo indiretto di stampa. A differenza di quanto avveniva con i torchi e le macchine piane, con questo sistema la matrice di stampa non va a contatto con la carta ma trasferisce i grafismi prima su un cilindro gommato che a sua volta riporta il tutto sul foglio di carta (fig. 9).

Le ragioni per le quali la stampa offset si è diffusa così tanto da diventare il principale metodo di stampa, sono prevalentemente due:

  • la semplicità ed economicità con la quale si ottiene la forma di stampa e l’elevata qualità della riproduzione che è in grado di garantire;
  • la possibilità di mantenere una qualità costante dal primo all’ultimo foglio di stampa e la ripetibilità nel tempo.
La stampa
Fig. 9 – Le tre tecniche di stampa a confronto (da sin. stampa con torchio, stampa con macchina piana, stampa offset)

 

Il libro questo sconosciuto… facciamolo insieme

Il libro, dal computer alla lastra

Oggi tutto il processo di composizione dei testi, creazione e impaginazione delle immagini, fino alla incisione delle lastre avviene con sistemi completamente digitali, che permettono una grande flessibilità e velocità di produzione. Il formato di file utilizzato come esecutivo di stampa è il PDF che essendo multi-piattaforma è anche uno formato adatto alla visualizzazione WEB, alla trasmissione dati e all’archiviazione. Una volta completato graficamente l’impaginato e ottenuto il visto si stampi, le pagine vengono trasmesse ad un software che le dispone sullo schema di stampa in base alla loro dimensione e alla piega scelta.
Le forme di stampa così ottenute dopo le opportune verifiche vengono trasmesse al Computer to Plate che procede alla loro incisione laser sulle lastre d’alluminio (fig. 10). La lastra offset si compone di una parte superficiale detta dei grafismi sulla quale vengono incise le forme di stampa che è lipofila cioè lega perfettamente con le sostanze grasse come l’inchiostro mentre rifiuta l’acqua. La parte sottostante detta dei contro-grafismi è invece idrofila e rifiuta quindi le sostanze grasse. La parte dei grafismi non incisa dal laser viene rimossa durante il passaggio nella sviluppatrice lasciando così libera la superficie sottostante dei contro-grafismi. Alla fine dello processo di sviluppo, la lastra viene poi ricoperta da uno strato di gomma che la proteggerà dall’ossidazione fino al suo definitivo utilizzo.
Da qualche anno, per rispondere all’esigenza di tutela dell’ambiente, le nostre lastre sono No-Process, cioè non hanno bisogno del passaggio in sviluppatrice. Il processo di sviluppo avviene sui cilindri stampa e viene attivato dagli inchiostri e dalla soluzione di bagnatura durante la fase dell’avviamento della stampa. Questo ci ha permesso di ridurre sensibilmente l’utilizzo e il successivo smaltimento di sostanze chimiche nella nostra attività.

Lastra offset
Fig. 10 – Lastra offset

 

Il libro, dalla lastra al foglio

I componenti della macchina da stampa (fig. 11) sono: il mettifoglio [A], i gruppi stampa [B] (ognuno composto dal calamaio, dal gruppo di inchiostrazione, dal cilindro porta lastra, dai rulli bagnatori, dal cilindro porta caucciù, dal cilindro di pressione) e l’uscita fogli [C]. Durante il processo di stampa la lastra viene bagnata con una soluzione di acqua e alcool isopropilico che verrà rifiutata dalle zone lipofile dei grafismi, sulle quali aderirà invece l’inchiostro, che sarà a sua volta rifiutato dalle parti idrofile. La parte inchiostrata si trasferirà poi sul cilindro caucciù e quindi sul foglio di carta.

Macchina offset
Fig. 11 – Schematizzazione di una macchina offset 4 colori

Le macchine da stampa vengono classificate in base al numero di gruppi stampa che possiedono e quindi al numero di colori stampabili in sequenza contemporaneamente in un solo passaggio del foglio di carta. La stampa offset riproduce le immagini colorate utilizzando 4 colori base che sono il cyan, il magenta, il giallo e il nero (si tratta della selezione di tinte più ridotta utile per ottenere, miscelandole, il maggior numero di colori ). Su ciascuna lastra viene quindi riprodotta con gradi diversi di intensità la scomposizione del colore in ognuno dei 4 di base (fig. 12).

 

Scomposizione CMYK
Fig. 12 – Separazione dei colori di quadricromia

 

In alcuni casi su richiesta specifica del cliente e soprattutto per logotipi vengono utilizzati degli inchiostri formulati già nella tinta desiderata (colori Pantone). In questo modo tutti i grafismi contenenti questo particolare colore vengono riportati su un’unica lastra e ottenuti con un ulteriore gruppo stampa. È questo il caso, per esempio, del blu Sellerio.

Il libro, dal foglio di carta alla segnatura

La sequenza delle pagine che si ottiene piegando un unico foglio di carta si chiama segnatura (fig. 13) e costituisce il primo passo nella rilegatura del libro. Fino a questo momento le pagine le abbiamo viste prima una dietro all’altra sul monitor, poi in una sequenza di fogli A4 al momento della bozza e infine disposte in modo apparentemente casuale su un foglio A1 o B1. Adesso nel momento in cui questo foglio verrà piegato vedremo finalmente l’embrione del libro.

Segnature
Fig. 13 – Schema di piega di un sedicesimo
Il libro, teniamo insieme le segnature

Quello che fa delle pagine veramente un libro è che siano una dietro all’altra saldamente cucite tra loro. E quindi una volta completata la piega e aver messo in ordine le segnature le cuciremo insieme con ago e filo per ottenere il blocco libro (fig. 14).
Esistono altre forme di legatura per tenere insieme le pagine ma a noi piace che il Libro, quello con L maiuscola, abbia le sue pagine cucite a filo refe, al massimo possiamo discutere del colore del filo!

Cucitura filo refe
Fig. 14 – Cucitura a filo refe

 

Il libro, mettiamo il cappotto alle nostre pagine

Ancora però il libro non è pronto per uscire e incontrare il lettore, non lo possiamo sfogliare ed è piuttosto anonimo. È dunque arrivato il momento della brossura, momento nel quale la copertina sarà incollata al blocco libro cucito (fig. 15) e, nascondendo i piccoli segreti della sua realizzazione, darà il primo e fondamentale indizio del contenuto e della sua provenienza. Il taglio finale sui tre lati (testa, piede e pancia) libererà le pagine e permetterà finalmente l’incontro tra l’autore e i suoi lettori.

La brossura

 

Con questo racconto abbiamo voluto fare un omaggio all’oggetto del nostro lavoro che più amiamo, il LIBRO.
Lo abbiamo fatto descrivendone la sua realizzazione all’interno di una tipografia che ovviamente è la cosa che sappiamo fare meglio.

La storia del libro prima dell’arrivo in tipografia è forse ancora più affascinante. Vi invitiamo a leggerla in un piccolo saggio del nostro amico Maurizio Accardi, del quale vi diamo un assaggio:

“Il libro è un oggetto complesso regolato da convenzioni, norme e artifici visibili e invisibili. Tali prescrizioni ne assicurano la realizzazione e la fruizione. Il processo editoriale di realizzazione del libro si occupa di progettare la forma, l’estetica e la qualità degli accorgimenti necessari alla divulgazione del testo (parole e/o immagini) di un autore. I protagonisti della creazione del libro sono: l’autore con il suo testo (parole e/o immagini); l’editore, il dominus del “processo editoriale”, con le varie professionalità (editor, traduttori, redattori, correttori, graphic designer, fotografi, illustratori, tipografi, rilegatori…) indispensabili per la sua progettazione ed esecuzione; il lettore, l’interprete necessario affinché il testo si avveri.”.

Il libro, questo sconosciuto… forse adesso lo sarà un po’ meno.

Approfondimenti:

Il libro, questo sconosciuto, Maurizio Accardi

Maurizio Accardi (1958) alias HRD è Artefice e interprete grafico. In altre parole: ordina, chiarisce, spiega e porta a conoscenza il significato di cose oscure o non manifeste e, con arte manuale, rende credibile questa procedura all’osservatore. Socio Professionista Senior AIAP (Associazione Italiana Design della Comunicazione Visiva), dal 2012 coordina il gruppo di intellettuali tecnici «Astralon» e ne è il porta-voce. Vive e lavora a Palermo e come tutti, inevitabilmente, morirà.

Sai quale font scegliere per il tuo testo?

Quello che bisogna sapere sulla carta e la stampa

La carta e la stampa

Quello che bisogna sapere sulla carta e la stampa

Quello che bisogna sapere sulla carta e la stampa

Quale carta bisogna scegliere per ottenere il miglior risultato in stampa? Ecco una piccola guida di quello che bisogna sapere per scegliere consapevolmente.
Conoscere le diverse tipologie di carta e le relative peculiarità, è fondamentale durante lo sviluppo di un progetto editoriale, sia esso semplice o complesso. Sapere come, ciascuna tipologia di carta, risponderà al processo di stampa alla quale sarà sottoposta, vi porrà al riparo da spiacevoli inconvenienti e brutte sorprese.
Vogliamo cominciare questa piccola guida partendo proprio con la domanda che forse tutti vi state ponendo.

Cosa è la carta e come viene prodotta

La carta è costituita da un insieme di fibre vegetali, fortemente saldate tra loro attraverso il processo della feltrazione.
Alla base della fabbricazione della carta, c’è dunque la cellulosa estratta dalle piante. A seconda del suo utilizzo finale, si possono impiegare in produzione anche fibre vegetali di provenienza diversa dal legno (cotone, canapa, cereali) o fibre provenienti dal riciclo della carta stessa (pre o post consumer). Il questo video  troverete descritte le fasi di produzione della carta.
A parte le caratteristiche di fabbricazione, c’è un altro elemento importante da considerare nella scelta della carta ovvero la grammatura, cioè il peso di ciascun foglio che viene espresso in grammi per metro quadro.

Le principali tipologie di carta per la stampa

Di seguito abbiamo elencato le più comuni tipologie di carta in uso per la stampa. Ognuna di queste, sulla base delle caratteristiche e delle tecniche di produzione, conferirà allo stampato un aspetto e dei risultati cromatici diversi. Conoscerle significa operare la scelta giusta per garantire al prodotto stampato il miglior supporto possibile.

Carte uso mano

Le carte uso mano sono probabilmente quelle più usate e conosciute. A questa categoria appartiene infatti la carta da ufficio comunemente detta “per fotocopie”.
Si presenta con una superficie molto opaca, totalmente priva di patina e porosa al tatto. Sulla base della quantità di legnina presente nell’impasto, la sua colorazione vira dal bianco candido all’avorio. Quella bianca è particolarmente adatta alla stampa di manualistica e libri scolastici oppure di notes e quaderni.
Quella avorio invece, detta anche carta per edizioni, è usata per la stampa editoriale (saggi, romanzi ecc.). Di entrambe le colorazioni si usano prevalentemente le grammature da 80 a 100 g/m2.

Carta per edizioni
Libri stampati su carta avoriata.

Carte patinate

Nella fabbricazione della carta, uno dei passaggi aggiuntivi che possono essere compiuti, è quello della patinatura. L’operazione, cioè, con la quale la superficie viene resa perfettamente liscia e levigata grazie all’applicazione di una miscela chimica a base di minerali quali il caolino e il carbonato di calcio in soluzione acquosa. In base al grado di lucentezza le carte patinate si distinguono in lucide o opache. Quelle opache poi, a secondo della quantità di patina e quindi dal grado di levigatezza e opacità, si distinguono in matt (meno patinata) o satin (più patina).
A differenza della carta uso mano che assorbe tanto inchiostro, sulla carta patinata, l’inchiostro rimane in superficie conferendo alla stampa maggiore nitidezza e brillantezza. Grazie a questa peculiarità è la scelta ideale per libri fotografici, pieghevoli,  riviste e cataloghi.
Di questa carta si usano praticamente tutte le grammature da 80 a 300 g/m2.

Libri e cataloghi fotografici
Libri e cataloghi fotografici
Riviste e periodici
Pieghevoli

 

Carte marcate

La marcata è una carta naturale non patinata, alla quale viene impresso sulla superficie un disegno o texture per conferirle pregio ed eleganza. Le caratteristiche essenziali di questa carta sono: la modalità di riproduzione di questo disegno unico (marcatura a feltro, vergatura, goffratura) e il conseguente aspetto ruvido e materico al tatto. Sono considerate carte di grande classe, capaci di combinare qualità visiva e piacere tattile e si utilizzano soprattutto per copertine, inviti, augurali e linee coordinate. Le grammature più usate sono da 200 a 350 g/m2.

Carte speciali

Si definiscono carte speciali tutte quelle carte che durante la fabbricazione subiscono un trattamento particolare per renderle uniche e insostituibili. Sono, per esempio, le carte colorate in pasta, le perlescenti, le metallizzate, le pergamenate, le semi-trasparenti o traslucide.
Le carte speciali sono le preferite dai grafici che vogliono trasmettere con i propri progetti il senso della modernità e del design. Le grammature più usate sono da 150 a 350 g/m2.

Carte riciclate

Le carte riciclate, come suggerisce il nome, sono prodotte con carta da macero riciclata, presente in una percentuale che va dal 60% al 100%. In questi anni, la domanda di questa tipologia di carta è cresciuta di pari passo con la maggiore attenzione, da parte degli utenti, all’ambiente e alla sua sostenibilità. Chi le sceglie, quindi, lo fa soprattutto perché vuole trasmettere l’impegno della propria attività, sia essa editoriale o commerciale, verso il “Green”.
La qualità e il colore della carta variano parecchio a secondo delle fibre utilizzate: pre o post consumer. Le carte riciclate bianche, quelle di maggior pregio, contengono quasi esclusivamente fibre pre consumer, ricavate dagli scarti di produzione delle cartiere, dunque da scarti di carta mai inchiostrata.
Spesso, a questa categoria, vengono associate le carte certificate FSC®. In realtà, la certificazione FSC®, attesta che la cellulosa utilizzata nella produzione della carta provenga da foreste certificate FSC® nelle quali, cioè, vengono rispettati rigorosi standard ambientali sociali ed economici.
Noi siamo certificati FSC®  dal 2015 e quindi siamo in grado di attestare la provenienza della carta che utilizziamo e di aiutarvi nella scelta di quella più adatta alle vostre esigenze.
Al momento ci fermiamo qui, ma vi promettiamo che presto parleremo anche dei cartoncini e dei cartoni utilizzati per la cartotecnica e il packaging. State con noi …

Approfondimenti:

Carta e stampa: luoghi comuni e realtà

Scegliere la certificazione FSC®.

Il pdf croce e delizia dei tipografi

Il PDF, croce e delizia delle tipografie

Il PDF, croce e delizia delle tipografie

05/08/2021 – Tutto comincia con il PDF, croce e delizia delle tipografie. Da quando è nato negli anni 90, il PDF ha fatto la felicità dei tipografi. Un unico file, leggibile su qualsiasi dispositivo e con qualsiasi sistema operativo, ma soprattutto indipendente dal software con il quale è stato generato.
Il PDF si trova, ormai, all’inizio di qualunque flusso di lavoro di stampa. Dalla sua accuratezza dipendono la velocità e la precisione della catena di produzione. È importante, quindi, che il PDF sia ben costruito, per non provocare rallentamenti o addirittura errori a catena su tutte le fasi successive del lavoro.
Negli ultimi 20 anni, sono stati compiuti molti sforzi per implementare le funzioni di controllo e di correzione automatiche sui PDF attraverso l’aggiornamento di software (es. Adobe Acrobat Pro) spesso già nella disponibilità delle aziende grafiche, degli studi grafici e delle redazioni.
Solo gli stampatori, però, ne hanno riconosciuto l’effettivo valore. Sono infatti pochi, quelli che i PDF li creano e li inviano in stampa, che hanno sentito la necessità di approfondire queste tematiche.
Indagini svolte da esperti del settore, mostrano come, i problemi che si riscontrano all’apertura degli esecutivi di stampa, siano sempre gli stessi da 20 anni a questa parte.

Quali sono i problemi sui PDF, croce e delizia delle tipografie?

I problemi con i quali gli operatori di prestampa si confrontano quasi quotidianamente sono sostanzialmente di due tipi:

  • problemi o meglio errori insiti nella generazione dei PDF e la cui responsabilità è appunto di chi li crea;
  • problemi legati alla capacità dei RIP di interpretarli e in questo caso la responsabilità è dello stampatore e delle sue attrezzature.

Esiste poi una condizione che aumenta il coefficiente di difficoltà nel controllo dei PDF ed è la loro visualizzazione sullo schermo. Se i programmi utilizzati a questo scopo non sono correttamente impostati a livello di preferenze, si visualizzeranno risultati diversi a fronte dello stesso file.
Un esempio è quello degli elementi bianchi posti in sovrastampa su altri colori che, anche se visibili sullo schermo, risulteranno invisibili in stampa.

E vediamoli questi errori sui PDF:

  • Immagini a bassa risoluzione
  • Elementi RGB senza profilo ICC abbinato
  • Abbondanza per il rifilo mancante o insufficiente
  • Errori di sovrastampa
  • Presenza di tinte piatte non previste
  • Colore Registrazione (nero composto in CMYK) usato in modo non corretto
  • Font non incorporati

Guardando questo elenco una cosa salta subito agli occhi: sono errori apparentemente impensabili per un tecnico esperto. È fondamentale, quindi, non sottovalutare l’importanza, per gli operatori, i tecnici e i grafici, di una formazione e informazione continua che garantisca alti livelli di competenza e professionalità.
Oggi, grazie all’evoluzione dei programmi di Preflight, le tipografie possono porre rimedio a buona parte di questi errori (tinte piatte, colore Registrazione). Ma altri come (abbondanze, risoluzione delle immagini) richiedono necessariamente interventi manuali e il rinvio del PDF con aggravio di tempi e costi.
Sul fronte della gestione del colore, sappiamo che la stragrande maggioranza degli stampatori si è dotata di workflow evoluti che sanno gestire il passaggio da colore da RGB a CMYK. Ma per ottenere la migliore conversione colore possibile verso l’output previsto, il PDF deve avere al suo interno gli elementi da convertire associati ai corretti profili ICC.
Per quanto riguarda i caratteri, la loro mancanza all’interno dei PDF è stata da sempre una spina nel fianco degli stampatori. Oggi, però ci vengono in aiuto software, come ad esempio Adobe InDesign, che non consentono di generare PDF senza font incorporati.

Quali rimedi adottare?

Per prevenire la presenza di errori, le tipografie possono affidarsi a strumenti didattici e a soluzioni software.

Gli strumenti didattici

Gli strumenti didattici più diffusi, sono probabilmente i capitolati tecnici di fornitura che, vengono messi a disposizione dei clienti e nei quali sono descritti i requisiti che i file devono soddisfare.
Meno frequenti, ma altrettanto utili, sono quelle brevi pubblicazioni cartacee o digitali che lo stampatore mette a disposizione dei clienti e che forniscono nozioni tecniche, suggerimenti e consigli su argomenti specifici.

I software

La soluzione software per eccellenza è il Preflight, serie di comandi che consentono l’analisi dettagliata di un file sulla base di un insieme personalizzabile di impostazioni. Prima, questa fase cruciale della prestampa, era eseguita solo sui PDF, adesso è possibile attivarla anche all’interno di alcuni programmi, come per esempio InDesign, che con la “Verifica Preliminare” consente ai grafici di intercettare, già in fase di creazione del file, gli errori più comuni. In entrambi i casi, però, è fondamentale, sapere come impostare i parametri e capire i messaggi che il programma restituisce.

Il reparto prestampa di una tipografia, come lavora?

Nella nostra tipografia, quello della Prestampa è uno dei reparti dei quali siamo più orgogliosi e per il quale otteniamo grandi attestati di stima dai nostri clienti. I nostri operatori sono sempre disponibili a fornire ai clienti tutto il supporto tecnico necessario, in presenza, telefonicamente o via mail.
Si lavora principalmente con i file PDF ma è importante saper gestire anche i file nativi provenienti dai più conosciuti software grafici.
Le nostre procedure prevedono che un PDF, prima di essere avviato alla produzione, venga controllato sia dal punto di vista della correttezza tecnica (risoluzione immagini, profili ICC, font), che di quella strutturale, legata cioè al prodotto da stampare.
I controlli di struttura riguardano, per esempio, l’abbondanza per il rifilo che può variare a seconda del tipo di prodotto (cartolina, opuscolo spillato, libro brossurato) e i pendant cioè l’accostamento di due aree della medesima immagine su due parti diverse dello stampato come le pagine a fronte o i lati di una scatola.
Solo alla fine di questi controlli, che avvengono in continuo collegamento con i clienti e i loro grafici, l’esecutivo può considerarsi idoneo al passaggio verso l’incisione delle lastre e la trasformazione del processo da digitale in analogico.

Approfondimenti

Verifica preliminare su Adobe Acrobat Pro

Mauro Boscarol, Nozioni base di prestampa digitale

Gestone colore - Diagramma Munsell

La gestione colore

La gestione colore

Senza una corretta gestione colore, quante volte i creativi vedranno frustrate le loro aspettative sul risultato cromatico in stampa? Tantissime. L’importanza della gestione colore nelle arti grafiche è tutta qui.
Per questo che è fondamentale per gli stampatori integrarla nel proprio flusso di lavoro.

Il perché di una scelta

Gli stampatori più sensibili alle implicazioni dell’evoluzione tecnologica, hanno sentito per primi, la necessità di conoscere e capire come controllare il risultato cromatico in stampa. Ma con una fase di prestampa ormai completamente digitale, le competenze e le esperienze vanno condivise con chi progetta e realizza gli esecutivi di stampa.
Noi il colore, abbiamo imparato a gestirlo e lo comunichiamo ormai da più di 10 anni. Lo facciamo sempre con lo spirito di condivisione delle informazioni che è alla base della crescita professionale.
Seguiteci, ancora una volta, in questo piccolo viaggio nella gestione colore delle arti grafiche.

Il colore e la colorimetria

Non si può parlare di gestione colore nelle arti grafiche senza approfondire due argomenti fondamentali: il colore e la colorimetria.

Il colore
Il colore è la percezione visiva generata dai segnali nervosi che i fotorecettori della retina mandano al cervello quando assorbono radiazioni elettromagnetiche di determinate lunghezze d’onda e intensità.
Per rappresentare in maniera univoca il colore, il Consorzio CIE ha definito uno spazio colorimetrico, CIELab, che comprende tutto lo spettro visibile e riporta ogni colore all’interno di un grafico tridimensionale in base al posizionamento sulle coordinate piane x e y dei valori “a” (rosso-verde) e “b” (giallo-blu) integrate dal valore di luminosità “L”.

La colorimetria
La colorimetria ha lo scopo di definire il colore con valori univoci (numeri). Lo spazio CIELab descrive, quindi, ogni colore con 3 valori numerici indipendenti dal comportamento dei dispositivi di acquisizione e/o riproduzione.
I colori che possono essere riprodotti nelle arti grafiche, si collocano all’interno di spazi colore più ristretti del CIELab che sono RGB e CMYK. Questi spazi colore, sono però influenzati dalla periferica che li restituisce (fotocamera, monitor, stampante).

Diagramma CIE

 

Facciamo un esempio concreto.
In una foto digitale non ci sono colori, ogni pixel è rappresentato da numeri. Nello spazio colore RGB, è definito da una terna di interi che, singolarmente, possono assumere un valore compreso tra 0 e 255; nello spazio colore CMYK, ogni pixel è descritto da quattro numeri interi, ognuno con valore tra 0 e 100.
Solo quando l’immagine è letta da un’applicazione (come per esempio Adobe Photoshop) ed è visualizzata su un monitor o stampata, i numeri generano colori. Ed è proprio in questo passaggio che hanno origine i problemi affrontati dalla tecnologia di gestione del colore.
Chiunque visiti un ambiente in cui sono presenti più Tv a colori o monitor noterà come una stessa immagine (ovvero le medesime informazioni RGB) appaia diversa da un display all’altro. Se non è meglio precisato, infatti, i numeri 255R 0G 0B rappresentano certamente un rosso, ma su due monitor diversi potrebbe apparire più o meno saturo e luminoso oppure più tendente all’arancio o al viola.
Il colore generato dai numeri, pertanto, è device dependent, ossia dipende dall’esemplare specifico di periferica. È per questo motivo che chiamiamo numeri e non colori i valori di periferica (RGB e CMYK) e definiamo invece colore la nostra percezione e le coordinate colorimetriche (Lab o XYZ) che la rappresentano.
L’obiettivo della gestione del colore è garantire la corrispondenza cromatica su tutti i dispositivi della catena di riproduzione. Ciò si realizza stabilendo una correlazione tra i valori dei diversi spazi colore e le coordinate colorimetriche, che sono indipendenti da qualunque periferica.

Gestione colore - Tabella colorimetria

Il Color Management System

Il CMS (Color Management System) è il sistema creato per mantenere inalterata la percezione del colore di un documento grafico passando da una periferica all’altra (scanner, fotocamera, monitor, stampante, macchina da stampa).
Il sistema di gestione del colore più usato nelle tipografie è quello standard ICC che si basa sui seguenti tre elementi principali:

  1. I profili colore (ICC)
  2. Un intento di rendering
  3. Un motore di conversione colore (CMM)
I profili ICC

Sono file digitali di piccole dimensioni che contengono la descrizione dello spazio colore di riferimento e le tabelle di relazione, una per ogni intento di rendering, tra i valori dello spazio colore e le coordinate colorimetriche.
Lo standard ICC prevede diverse classi di profili: input (cioè scanner e fotocamera); monitor; output (tutte le periferiche di stampa).
Quelli di input sono profili di origine e sono quindi unidirezionali. Infatti, contengono al loro interno solo i valori dello spazio colore di riferimento abbinati alle relative coordinate colorimetriche.
I profili monitor e output, sono invece bidirezionali: contengono cioè, sia la relazione tra i valori dello spazio colore e le coordinate Lab, che quella inversa. Possono quindi essere essere utilizzati come origine e/o come destinazione a secondo del tipo di conversione che vogliamo realizzare.
Le applicazioni di grafica dispongono già di profili monitor e output standard adattabili alla maggior parte delle periferiche in uso di medio/alto livello.
Eccone alcuni esempi:

Gestione colore - Tabella Profili
Tabella profili ICC standard
L’intento di rendering

L’intento di rendering definisce la modalità che il motore di conversione (CMM) dovrà usare per gestire i colori fuori gamma durante le conversioni tra due spazi colore.
Sappiamo che le diverse periferiche, potrebbero non essere in grado di riprodurre tutta la gamma dello spazio colore di origine. Poiché il presupposto della gestione colore è quello di riprodurre tutti i colori d’origine, è necessario ricorrere a delle approssimazioni. Bisogna cioè riprodurre il colore “più vicino possibil” al gamut di destinazione.
L’intento di rendering fornisce le indicazioni al modulo CMM per convertire questi colori da una periferica a un’altra secondo due tecniche diverse: la compressione della gamma che riporta il gamut di origine completamente all’interno del gamut di destinazione mantenendo la relazione cromatica tra i colori (mapping); il ritaglio della gamma che riporta tutti i colori di origine fuori gamut ai colori più vicini del gamut di destinazione (clipping).

Gestione colore - Rendering e gamut

Gli intenti di rendering che derivano da queste tecniche sono descritti di seguito e possono essere usati in base alle specifiche esigenze di gestione delle immagini.

Intento percettivo
Mantiene le relazioni tra i colori scalando l’intero gamut di origine in quello di destinazione. Così tutti i colori dell’immagine vengono modificati, non solo quelli fuori gamma, in modo che mantengano la loro relazione cromatica e il loro rapporto visivo. Questo intento è generalmente consigliato per le immagini fotografiche.

Intento di saturazione
Riproduce la saturazione relativa dei colori da gamma a gamma, fornendo i colori più brillanti e nitidi in assoluto. Viene usato nella grafica non fotorealistica dove è più importante che il colore sia vivo, saturo, piuttosto che sia esattamente uguale all’originale. È utile nella conversione di elaborati grafici vettoriali con elementi molto brillanti.

Intento colorimetrico relativo
Riporta i colori fuori gamma al colore più vicino possibile della gamma di destinazione e attraverso la mappatura del punto di bianco d’origine a quello di destinazione, allinea tutti gli altri. Questo intento è particolarmente consigliato nelle conversioni tra spazi colore dello stesso tipo con piccole differenze di gamut.

Intento colorimetrico assoluto
Abbina i colori contenuti nella gamma, senza variare il punto di bianco del profilo di origine e riporta i colori fuori gamma alla tonalità più simile. Particolarmente adatto per la produzione di prove colore a monitor o in stampa poiché consente di mantenere inalterato il punto di bianco di origine.

Il motore di conversione (CMM)

Il motore di conversione colore (CMM) è un software che mette in relazione profili e intenti di rendering e attua la conversione colore verso la periferica di destinazione.
Il più comune nelle arti grafiche per la gestione colore è l’Adobe Color Engine  (ACE) ma molti produttori come Kodak, Fuji, o Agfa hanno preferito, sempre appoggiandosi allo standard ICC (standard aperto), sviluppare propri moduli CMM proprietari.

Gestione Colore - CMM

La nostra gestione colore

Le nozioni acquisite su colore e colorimetria sono state il presupposto necessario per introdurre la gestione colore nel nostro flusso di lavoro e per caratterizzare le nostre macchine da stampa secondo gli standard ISO.
Conoscendo infatti il profilo di output delle nostre macchine da stampa, possiamo simulare il risultato delle loro produzioni, sui monitor e/o sui sistemi di proofing anche loro opportunamente calibrati. Siamo cioè in grado di:

  • fornire una prova colore affidabile ottenuta da stampanti anch’esse calibrate e impostate con lo stesso profilo di output delle macchine da stampa;
  • garantire la rispondenza tra una immagine visualizzata su di un monitor calibrato e la relativa stampa finale, poiché il profilo di ciascuna immagine viene correttamente interpretato e infine convertito durante la produzione delle lastre.

Oltre al complessivo miglioramento della conversione, possiamo inoltre intervenire, fino al momento immediatamente precedente l’incisione delle lastre, sulle impostazioni di conversione per adattare i file di stampa ai diversi supporti (patinate o usomano), o modificare gli intenti di rendering in funzione delle diverse tipologie di soggetti da riprodurre.
Grazie alla corretta applicazione della gestione colore all’interno del nostro flusso di lavoro, i nostri clienti possono scegliere se:

  • continuare a fornire immagini in CMYK senza alcuna modifica delle abitudini di lavoro. In questo caso il vantaggio consisterà solo nella possibilità di fruire di sistemi di proofing affidabili capaci di simulare il risultato di stampa;
  • lavorare in RGB rispettando gli spazi colore nativi dei singoli elementi che compongono l’esecutivo, senza doversi più preoccupare dei risultati di conversioni ottenuti attraverso i propri software spesso non correttamente impostati.

L’unica accortezza che viene richiesta, in entrambi i casi, è quella di mantenere i profili colore incorporati nelle immagini e, nel caso di immagini prive di profilo, incorporare in fase di registrazione quello dello spazio colore del software che si sta utilizzando.

Approfondimenti

Piccolo glossario

La nostra gestione colore

I nostri guru:

Mauro Boscarol

Taga Italia

Tavola dei caratteri diNovarese

Sai quale font scegliere per il tuo testo?

Sai quale font scegliere per il tuo testo?

Quale font scegliere per il testo? Questa è la domanda che tutti ci facciamo quando diamo il via a un progetto grafico, sapendo che quella del font da usare sarà una scelta fondamentale.
L’utilizzo di un carattere invece che un altro o l’abbinamento di più caratteri, infatti, influenzerà e non poco la presentazione del progetto.

La classificazione e il prontuario degli accostamenti

Nel 1957 Aldo Novarese, il più prolifico creatore italiano di alfabeti, ha proposto una classificazione dei caratteri tipografici nei gruppi: lapidari, medievali, veneziani, transizionali, bodoniani, scritti, ornati, egiziani, lineari, fantasie.
La sua classificazione partiva dall’individuare nelle grazie il dettaglio formale distintivo di ogni gruppo.
Ecco che il tratto terminale di una lettera alfabetica e quindi la forma della grazia, diventa l’elemento determinante per distinguere il disegno di un carattere e per darne una classificazione.
Nella foto proponiamo il prontuario degli accostamenti che il Designer piemontese ha messo a punto per facilitare la scelta e l’accostamento tra i diversi tipi di carattere.

Ma adesso andiamo a conoscerli meglio …

Lapidari

I lapidari sono i caratteri nati per le iscrizioni dei monumenti (da qui il nome Lapidario). Il disegno ha origine dal quadrato capitalis quadrata dell’epoca di Augusto e di Traiano e imita lo stile delle scritte realizzare a scalpello sui monumenti romani.

Altri font del gruppo:  Trajan,  Augustea e Nova-Augustea, disegnato proprio da Aldo Novarese.
Possibili abbinamenti: Fette Fraktur, Linotext.

Medievali

I medievali o gotici sono i caratteri forse i più usati nelle insegne e nei sottobicchieri delle birrerie tedesche. Provate a pensare all’etichetta della Warsteiner o della Fransiskaner.
Hermann Hesse voleva pubblicare con questo carattere il suo libro Narciso e Boccadoro, ma dovette cedere al suo editore che riteneva il gotico difficile da leggere per le giovani generazioni.

Altri font del gruppo: Fette Fraktur, Linotext, Old English.
Possibili abbinamenti: Trajan, Garamond, Times, Bodoni, Algerian, Futura.

Veneziani

Di questo gruppo, il carattere più famoso utilizzato in editoria, è sicuramente il Garamond disegnato nel 1500 dallo stampatore Claude Garamond.
Non dobbiamo pensare però che la sua vera origine sia francese. Claude Garamond, in realtà, venne ispirato dai punzoni dell’incisore bolognese Francesco Griffo che lavorava per il famoso editore/stampatore veneziano Aldo Manunzio.

Altri font del gruppo: Galliard, Sabon, Caledonia.
Possibili abbinamenti: Fette Fraktur, Kuenstler, Algerian, Futura.

Transizionali

Sono chiamati così i caratteri che segnano la transizione tra i caratteri “romani antichi” e i “romani moderni”.
Sono molto simili ai Veneziani, con i quali spesso vengono confusi, ma hanno le grazie meno accentuate e il vertice inferiore completamente piatto. Probabilmente il più famoso di questa famiglia è il Baskerville disegnato dall’inglese John Baskerville nel 1700.
Sapete perché è uno dei gruppi di font preferiti dagli stampatori? Perché, quando si utilizzavano i caratteri a piombo, questo disegno resisteva di più all’usura nelle lunghe tirature e quindi non era necessario rifare tante volte le matrici.
Di questo gruppo fa parte anche il New Century Schoolbook, il più utilizzato nell’editoria scolastica. Forse meno elegante dei suoi cugini, è ritenuto però, molto più leggibile.

Altri font del gruppo:  Caslon, Times, Palatino, Novarese.
Possibili abbinamenti: Fette Fraktur, Kuenstler, Algerian, Futura.

Bodoniani

Già nel nome si nasconde il carattere più rappresentativo: il Bodoni. Giambattista Bodoni, forse il più famoso incisore italiano di punzoni, crea il Bodoni alla fine del ‘700 e stavolta l’origine non è italiana bensì francese.
Questo stile, infatti, si fa risalire a Fermin Didot, disegnatore dell’omonimo font e a suo padre.
A causa dell’occhio piccolo e dalla rigidità delle forme risulta di difficile lettura nei testi lunghi ma è molto apprezzato per le titolazioni, le pubblicità e i frontespizi dei libri.
Piccolo suggerimento: i caratteri bodoniani hanno bisogno di spazio e di molto bianco nella pagina, danno il meglio, dunque, se utilizzati con interlinee ampie.

Altri font del gruppo: Walbaum, Fenice, De Vinne.
Possibili abbinamenti: Fette Fraktur, Kuenstler, Algerian, Futura, Marker Felt.

Scritti o calligrafici

Questi caratteri sono detti anche calligrafici per la somiglianza con la scrittura a mano.
In relazione al tipo di strumento di scrittura che imitano, penna d’oca, stilografica o biro, possono avere caratteristiche molto eterogenee. Essenzialmente però li possiamo suddividere in calligrafici legati come il Kuenstler o non legati come l’Art Brush.

Altri font del gruppo: Zapfino, Snell Roundhand, Handwriting, Bradley Hand.
Possibili abbinamenti: Trajan, Garamond, Baskerville, Bodoni, Algerian, Clarendon, Futura, Marker Felt.

Ornati

Gli ornati o amanuensi sono quei caratteri con decorazioni, ombreggiature e anche figure floreali che trasformano la scritta in un vero e proprio fregio.
Nel periodo liberty ne sono stati disegnati parecchi, ma poiché sono considerati poco leggibili, vengono utilizzati solo a scopo decorativo, quasi esclusivamente come capilettera e sempre abbinati ad altri caratteri.

Font del gruppo: Algerian, Circus, Zenone.
Possibili abbinamenti: Tutti i caratteri degli altri gruppi.

Egiziani

Gli egiziani sono riconoscibili dalle grazie molto accentuate ad angolo retto e sono caratteri molto pesanti che si leggono da grandi distanze. Sono quelli che forse ci ricordano di più i caratteri delle macchine da scrivere, uno dei più famosi, infatti, è l’American Typewriter.

Altri font del gruppo: Egizio, Memphis, Clarendon, Rockwell.
Possibili abbinamenti: Kuenstler, Algerian, Futura, Marker Felt.

Lineari

I cosiddetti moderni. Si tratta di caratteri molto leggibili e facilmente riconoscibili per la totale assenza di grazie e filetti e per l’armoniosità delle lettere tonde.
Pensando a un libretto di istruzioni o alla segnaletica stradale, quale carattere vi viene in mente? Certo, l’Arial o l’Helvetica!
Tra i lineari quello che probabilmente ha più storia è il Futura. Disegnato da Paul Renner è, infatti, uno dei caratteri più utilizzati al mondo. Alla base delle campagne pubblicitarie della VolksWagen e simbolo della HP a noi però piace ricordarlo come il carattere tipografico lunare. Il Futura infatti è il carattere scelto per incidere la frase contenuta nella targa lasciata sulla Luna dagli astronauti dell’Apollo 11.

Qui alcuni uomini provenienti dal pianeta Terra misero piede sulla Luna per la prima volta nel luglio del 1969. Veniamo in pace a nome di tutta l’umanità”.

E poi chi non ricorda la locandina del capolavoro 2001 Odissea nella spazio?

2001 Odissea nello spazio
Locandina del film: 2001 Odissea nello Spazio

Altri font del gruppo: Avant Garde,Eurostile, Franklin Gothic, Optima, Verdana, Univers.
Possibili abbinamenti: Tutti i caratteri degli altri gruppi.

Fantasie

Questa categoria è l’ultima forse perché raggruppa tutto ciò che non è classificabile in quelle precedenti.
Sono i caratteri ai quali è difficile attribuire una caratteristica costruttiva, Aldo Novarese riteneva che la particolarità fosse data dai terminali delle aste inclinati. A causa della scarsa leggibilità, come gli Ornati, vanno sempre abbinati ad altri caratteri.
La grafica americana è ricchissima di questi caratteri inventati senza nessuna regola costruttiva, come per esempio il Marker Felt o il Papyrus

Altri font del gruppo: Noteworthy, Comics Sans.
Possibili abbinamenti: Bodoni, Kuenstler, Algerian, Clarendon, Futura.

Approfondimenti

Se ancora non sai quale carattere scegliere per il tuo testo, ti suggeriamo di approfondire l’argomento visitando i seguenti link:

Progettare font tipografici

Tipi di carattere

Catena custodia FSC

Scegliere la certificazione FSC®. Un valore aggiunto!

Scegliere la certificazione FSC®. Un valore aggiunto!

Perché dovremmo scegliere di richiedere la certificazione FSC® sui nostri prodotti? Questa la domanda che spesso ci pongono i nostri clienti.
Perché è un valore aggiunto. Ecco la nostra risposta.

Quello che oggi abbiamo davanti, è un mondo di consumatori sempre più informati, attenti e consapevoli dell’impatto che ogni prodotto acquistato ha sull’ambiente.
Chi legge un libro o un catalogo non si limita più a considerare la bellezza delle immagini o la sagacia del testo.

Chi sceglie un prodotto sullo scaffale, sa che deve farlo guardando anche alla sostenibilità del pack che lo contiene. Consumatori che vogliono fare la loro parte per proteggere la natura, con l’unica arma che hanno a disposizione, premiare le aziende che fanno scelte green e che investono nella salvaguardia dell’ambiente per garantire un futuro al nostro pianeta.

E dunque, il valore aggiunto di questo piccolo logo, sta proprio nella sua capacità di trasmettere, al consumatore, l’impegno di tutta la filiera nell’utilizzare responsabilmente una delle risorse più importanti per la vita del nostro pianeta, le foreste.

L’utilizzo del logo FSC® è regolato da un sistema di certificazione internazionale in grado di garantire che la materia prima usata per realizzare un prodotto in legno o carta, provenga da foreste gestite secondo rigorosi standard ambientali, sociali ed economici.
La garanzia sta proprio nel tracciamento della filiera durante le fasi di trasformazione e commercializzazione. Ogni passaggio costituisce un anello di una catena che custodisce, appunto, l’origine del legno e dei suoi derivati fino all’utilizzatore finale.

Per questo è importante scegliere la stampa certificata FSC®. Con noi al vostro fianco!

FSC Italia

La nostra certificazione

Il nostro FSC® Friday 2018